Zucchero? Dippiu. | Un nuovo inizio
«In media ci sono circa 1500 alieni sul pianeta. Gente abbastanza onesta che cerca di guadagnarsi da vivere.»
«Fanno i tassisti?»
«Non quanti diresti.»
[…]
«Perché tanti misteri? La gente è matura. L’accetterebbe.»
«Una persona è matura. La gente è un animale ottuso, pauroso e pericoloso. Lo sai anche tu.»
Ricordate quando è iniziata? La passione per la fantascienza? Oppure per i film? Chiaro, si intende se siete afflitti da questa doppia mania. O se non questa, immagino – se siete qui – ne avrete altre.
Comincio io. La prima volta che sono andata al cinema – a vedere un film da grandi, non un cartone voglio dire, ma con attori in carne e ossa – avevo undici anni e mi ci aveva portata papà. Non ricordo la locandina o se avessi preso degli snack (eravamo a metà anni 90’ non si usava più di tanto comprare popcorn da sgranocchiare al cinema e i multisala non esistevano ancora) ma il momento di emozione in cui a me è toccato il biglietto intero da adulti e non più il ridotto bambini, quello sì. Credo che (giustamente) papà mi avesse anche un pochino e bonariamente presa in giro per queste arie di importanza.
Buio in sala ed ecco che iniziano i titoli di apertura. Un grosso insetto che sfreccia di notte su una strada, tenendoci con il fiato sospeso per tre minuti buoni e la musica di Danny Elfman a fare il resto. È un insetto robotico? È vivo? Ah, ahimè lo era.
Riguardando il film a distanza di qualche decennio e cercando di ripercorrere come tutto è iniziato, due cose credo mi avessero colpita allora.
La prima è il ritmo, la totale assenza di spazi morti o di pause. Mi spiego: non c’è una scena dove non succeda qualcosa di iconico o senza una battuta di spirito, è inarrestabile.
La seconda è come è rappresentato il rapporto con gli alieni. Da grande ho capito come tutto il film si giocasse sull’equivoco della parola alien, in inglese “alieno”, ma anche (e soprattutto) straniero, anzi “immigrante illegale”. La scena iniziale con il camioncino e la pattuglia di frontiera è proprio la forma più esplicita di quella metafora.
Gli alieni non sono a priori i cattivi della storia, a differenza di tanta produzione sci-fi che ha preceduto o seguito M.I.B. È un approccio che quella sera di decenni fa al cinema mi ha affascinata e che ho ritrovato anni dopo, per esempio, in Doctor Who.
Un insegnamento, in fondo, a non temere e non aspettarmi il peggio da chi è diverso e con cui magari non riesco immediatamente a comunicare.
Non basta fermarsi alla superficie per capire chi e cosa è davvero una minaccia rispetto a chi lo sembra soltanto. Serve fermarsi e porsi qualche domanda in base agli indizi che sappiamo cogliere, se non addirittura cercare di interagire.
Andiamo… quella scena per la selezione di Junior in agenzia avrebbe dovuto riplasmare tutti i processi di selezione del personale e gli uffici HR di tutto mondo aziendale, e invece stiamo messi così.
Il primo capitolo di Men in Black è stato un piccolo gioiello del genere comico-fantascientifico che tutto sommato è invecchiato piuttosto bene, probabilmente grazie alla cura che scrittori, sceneggiatori e regista avevano riservato ai dettagli.
Da parte mia non nutro altro che affetto per quella pellicola. È così che per me è nato l’amore per la fantascienza, per l’esplorazione di realtà e mondi ignoti più o meno lontani. Il seme della curiosità per ciò che non conosciamo e su cui possiamo solo speculare, evidentemente, è stato piantato allora, naturalmente nutrito e cresciuto nel tempo grazie a tante altre opere.
Ma se c’è una cosa che mi sono portata dietro è la consapevolezza che non tutto è proprio ciò che sembra, e in fondo un’intera galassia può trovarsi sulla cintura di Orione.
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