… però prima dimmi come ti chiami. | Un nuovo inizio
“Ehi, aspetta, non andare! È pericoloso!
Nell’erba alta vivono pokémon selvatici!
Hai bisogno di pokémon tuoi che ti proteggano!
Fidati di me! Seguimi!”
Ci sono momenti che solo a posteriori riesci a vedere quanto abbiano influenzato il corso della tua vita. Nel bene e nel male.
Per me, in questo preciso istante, nel momento in cui scrivo e riguardo quello di cui sto per scrivere, è più una maledizione che altro.
Ma ci arriveremo, magari un’altra volta.
Pokémon Rosso e Blu sono usciti in Italia il 5 ottobre del ‘99, e parliamoci chiaro: non fregava a nessuno, o quasi. Almeno questa è la mia percezione.
Probabilmente appena usciti neanche passavano la pubblicità in televisione. Questo perché qui da noi la Pokémon-mania ci mise un po’ ad esplodere, e coincise con la trasmissione in pompa magna, in orario pomeridiano, della serie animata. A gennaio 2000, per la precisione.
E io, in quella Pokémon-mania, ci finii dentro con tutta la testa.
In breve non potevi girarti più da nessuna parte senza vedere le carte dei Pokémon (le ho), e i peluche dei Pokémon (li ho), e gli zaini dei Pokémon (lo ho), e le calamite dei Pokémon (le ho), e i tappi di bottiglia dei Pokémon (li ho), e le biglie dei Pokémon (non le ho, i miei temevano mio fratello le ingoiasse), eccetera, eccetera, eccetera.
Pokémon ovunque. Erano bellini, colorati, simpatici, erano dei Tamagotchi che potevano combattere tra loro, che dovevano fare di più? Farti il caffè? Spicciarti casa?
E la pubblicità del gioco, di Pokémon Rosso e Blu, me la ricordo benissimo. Come ricordo esattamente il momento in cui la vidi la prima volta, con lo sbrocco infantile che ne derivò perché dovevo averli, subito, immediatamente MI SPACCO LA TESTAAAAAAAAAAAAAA
Una squilibrata. Avevo sei anni e di solito non ero così, abbiate pazienza.
Mi calmai, comunque, e aspettai qualche mese prima di ricevere il mio tanto agognato Game Boy Color con Pokémon Rosso. Era un regalo grosso, quindi me lo dovevo guadagnare: la pagella della prima elementare, per la precisione. Ci sta!
Non ricordo mai un cazzo, ma vi assicuro che il momento in cui mia mamma, dopo aver richiuso la mia pagella, ha aperto la borsa invitandomi a guardarci dentro con una scusa ce l’ho stampato a fuoco nel cervello.
Non avevo ancora mai avuto una console mia. Credo, forse, non avessi neanche in testa il concetto di console. Non avevo ancora mai giocato a un gioco che avevo scelto io.
Le poche esperienze col mondo videoludico le avevo avute da spettatrice, quando mio papà si metteva al PC col floppino (sigh sob) di Space Invaders, o col floppino di un oscuro gioco dei Simpson di cui adesso non ricordo nulla. Mi sedevo in braccio a lui e premevo qualche tasto, probabilmente facendo un casino.
Se non fossero stati i Pokémon in quel momento, forse sarebbe stato qualcos’altro, più avanti. Fatto sta che, eccoci qua: completamente in fissa. Ho passato un’estate intera o quasi, me lo ricordo bene, incollata allo schermo. Salvo bloccarmi a Lavandonia perché mi faceva una paura del demonio, cercando in tutti i modi dei passaggi alternativi per andare avanti. Beata innocenza.

Pokémon Rosso e Blu non sono giochi perfetti, anzi.
Già alla fine degli anni ‘90, guardandoli ad oggi col dovuto distacco, in alcune cose erano abbastanza indietro rispetto ai coetanei, soprattutto dal punto di vista grafico. E parliamoci chiaro: un sacco di sprite erano, per dirla in francese, brutti in culo.
Però sono stati la chiave di volta per un sacco di bambini. C’era qualcosa di magico, nel poter finalmente vivere le avventure che sul piccolo schermo avevano iniziato tanto ad appassionarci.
C’era un sacco di libertà, o almeno così la percepivo, a poterti scegliere la squadra, a poterti gestire i soldini come volevi (avevo sei anni!), a doverti mettere sotto, allenare, combattere per riuscire ad andare avanti.
E, adesso farò la vecchiadimmerda, c’era un sacco di sense of wonder, a non sapere che cazzo dovevi fare, dove andare, quel poco lo sapevi dalle guide che ti dovevano comprare i tuoi in edicola – Internet, per me, era come se non esistesse ancora – e decifrarle, ché spesso erano tradotte malamente dal giapponese, suppongo, e non ci si capiva un cazzo.
La storia è semplice semplice, ci sono pochi misteri. Puoi esplorare, ma seguendo una strada bella precisa e segnata. Eppure era la cosa più bella del mondo.
E, francamente? Se risento la musica di Biancavilla in 8 bit ho di nuovo sei anni e sto nel salotto di casa mentre i miei preparano la cena, a scegliere se iniziare con Bulbasaur, Charmander o Squirtle.
Non so che darei per sentirmi di nuovo così.
Ci sono stati altri amori, dopo. Altri giochi. Altre console. Ma Pokémon Rosso ha, e continua ad avere, un posto speciale nel mio cuoricino.
Poi succede che cresci, e che quello che ami e continuerai ad amare negli anni si trasformerà poco a poco in una schifezza inguardabile, e tu lì, stupida imbecille, a ricascarci ad ogni nuova uscita.
Una relazione iniziata come la più bella del mondo, ma divenuta tossica, e da cui non riesci a uscire.
Ma questa è un’altra storia.
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